Le farine raffinate cosa bisogna saperePer mantenerci in buona salute dovremmo seguire i principi della dieta Mediterranea ed evitare i prodotti raffinati. «Con tale dicitura ovvero di prodotti raffinati si intendono i cibi che vengono sottoposti a numerosi e ripetuti processi di lavorazione per migliorare e aumentare il gusto e adattarsi al consumo in termini di facilità di utilizzo e, spesso, risparmio di tempo nella preparazione di un pasto – spiega il dottor Marco Buccianti, Consigliere Nazionale ADI (Associazione Italiana Dietetica e Nutrizione Clinica Onlus) che precisa anche come- Riuscire ad evitarli significa privilegiare prodotti freschi e proposti senza particolari interventi tecnologici e di trasformazione. La presenza di additivi e ingredienti classici sotto diversa forma (derivati) è già indice di un elevato grado di raffinazione e quindi scarsa qualità. Se acquistiamo un prodotto confezionato dovrebbe avere sempre un numero di ingredienti che si riduca a due-tre voci e comunque a poco più della materia per cui è conosciuto. Purtroppo i nostri palati ormai si sono abituati e assuefatti ai sapori raffinati e questo rende tutto più difficile nella scelta di prodotti meno conosciuti i quali vengono osservati con diffidenza e puntualmente scartati». Dieta Mediterranea, pane, pizza e pasta Per seguire la dieta Mediterranea oltre ad evitare i cibi raffinati bisognerebbe consumare frutta, verdura, usare l’olio extravergine di oliva per condire, consumare regolarmente carne anche bianca, latticini, pesce e poi anche pane, pasta, riso e pizza. Cosa c’è allora di più salutare che preparare la pasta, la pizza e anche il pane in casa? Ma quale farina usare per prepararli, se si devono evitare quelle raffinate? Prima di passare in rassegna i diversi tipi di farina e i pro e i contro sul loro utilizzo è molto interessante riflettere sul commento del dottor Federico Francesco Ferrero, Medico chirurgo nutrizionista nonché vincitore della terza edizione di Masterchef Italia 3: «Abbiamo un alleato prezioso per scoprire cosa ci fa bene o male: il gusto. La complessità di gusto (non l’intensità) è un buon indicatore della complessità nutrizionale: più componenti aromatiche si associano anche con più componenti nutrizionali. Se una cosa non ha sapore è molto improbabile che abbia dei nutrienti».
Farina 00 È forse la più nota, quella che tutti conoscono per averne preso un pacchetto al supermercato per farne dolci o pizze: si ottiene dalla raffinazione del chicco di grano tenero e deve il suo colore bianchissimo alla completa assenza di crusca; contiene principalmente amidi, poche proteine, vitamine e sali minerali. Ha un elevato contenuto di glutine e un alto indice glicemico. Ben si presta per la preparazione di dolci, pane, pizza e prodotti da forno oltre che per fare la pasta fresca e all’uovo; è ottima anche come legante per la besciamella. Circa le sue proprietà il dottor Ferrero precisa: «La farina bianca di grano tenero, detta in Italia 00, è un prodotto relativamente recente, introdotto dopo la rivoluzione industriale, grazie al passaggio dai mulini a pietra a quelli a cilindri di metallo. Il vero processo che ha modificato, dall’inizio del ventesimo secolo, la qualità della farina bianca è però la degerminazione, che ha privato la farina quasi del tutto delle componenti vitaminiche, oltre che di buona parte del sapore. La maggior parte della farina 00 non ha alcun gusto, e pochissimi componenti nutrizionali. Inoltre, dal 1950, il grano è stato sottoposto a modificazioni genetiche con lo scopo di migliorarne le caratteristiche di resistenza, ma selezionando queste qualità, si sono trascurate quelle nutrizionali e, come conseguenza, si è ulteriormente ridotto anche il sapore». Farina 0, 1 e 2 La farina 0 è meno bianca della 00 perchèconserva una quantità maggiore di cruscae così la 1 e la 2, contengono rispettivamente quantità maggiori di crusca, tanto che la 2 è anche conosciuta come farina semi integrale. La farina 0 viene di solito utilizzata per la panificazione e per la produzione della pasta fresca. Maggiore è il processo di raffinazione che il chicco di grano subisce maggiore è la perdita in termini di acidi grassi polinsaturi, vitamine, magnesio, ferro, calcio e potassio. Quale farina dovremmo comprare al supermercato? «Dovremmo leggere prima di tutto con attenzione le etichette per capire quali ingredienti vi sono all’interno di ciascun prodotto – chirisce il dottor Buccianti- Sono da privilegiare farine integrali, ai cereali e quanto più “sporche”, ovvero di colore tendente al marrone e non al bianco. Maggiore è la limpidezza della farina maggiore sarà la raffinazione. Tra quelle utili troviamo le farine di farro, orzo e segale e tutte quelle macinate a pietra che mantengono una percentuale di crusca maggiore. Da provare sicuramente anche la farina di grano saraceno e la farina di quinoa, entrambe naturalmente prive di glutine. Attualmente la farina di castagne sta riacquisendo interesse per la qualità nutrizionale e di produzione, per il legame con il territorio e la sostenibilità ambientale. In ogni caso è necessariovariare il consumo di farine, alternando le diverse tipologie senza escluderne nessuna. Importante è preferire farine integrali e ai cereali in purezza e non ottenute da farine bianche con aggiunta di crusca e limitare quelle particolarmente povere di fibra come la farina di riso, di mais e farine 0 e 00, compresa la manitoba» conclude il dottor Buccianti. Sulla stessa linea anche il dottor Ferrero che sottolinea: «Per qualsiasi preparazione, consiglio di utilizzare farine prodotte da grani antichi (che non significa preistorici ma precedenti alla seconda guerra mondiale), coltivati senza chimica, in maniera tradizionale, e possibilmente macinati a pietra, scegliendo almeno il Tipo 1. Per alcuni dolci si può utilizzare la “0”. La “00” non ha motivo di essere utilizzata. Nell’800 la farina 00 non esisteva eppure i dolci di Marie Antoine Careme, cuoco di Tayllerand preparati per una famosa cena al Congresso di Vienna, riuscirono talmente soffici e buoni, al punto di modificare le sorti dell’Europa».
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Il Ph del acqua nel impasto della pizzaL’acqua è importantissima nella chimica dell’impasto. Senza acqua non c’è vita, dunque neanche fermentazione e lievitazione. Inoltre l’acqua è la responsabile della principale reazione chimica in un impasto: la formazione del glutine. Il glutine è una proteina complessa formata da due proteine, la gliadina, del gruppo delle prolamine, e la glutenina, del gruppo delle gluteline. In presenza di acqua le due proteine si uniscono formando la maglia glutinica, una catena proteica elastica insolubile in acqua, una sorta di rete di contenimento dei gas prodotti dalla fermentazione, degli amidi e di tutte le altre sostanze contenute nell’impasto. Fondamentale è la percentuale e la tipologia di sali minerali disciolti nell’acqua, importante anche il suo pH. Per l’impasto della pizza e del pane è consigliabile usare acqua mediamente dura. Un’acqua troppo dolce rende l’impasto colloso e appiccicoso, difficile da gestire, e non aiuta la formazione del glutine; un’acqua troppo dura irrigidisce la maglia glutinica, rendendo altrettanto complicata la lavorazione e la stesura della pizza. I sali minerali influenzano la fermentazione, stimolandola o inibendola a seconda della tipologia e quantità di ogni sale: ossido di calcio, carbonato di calcio, solfato di calcio, cloruro di magnesio, ossido di magnesio e bicarbonato di sodio sono i principali sali minerali coinvolti nel risultato finale di un impasto. Numerosi studi hanno stabilito le concentrazioni saline ottimali che deve avere un'acqua per la panificazione (1 gr./l=1000ppm; 1 mg/l=1ppm): - carbonato di calcio: 8-230 mg/l - solfato di calcio: 10-300 mg/l - cloruro di magnesio: 2-100 mg/l - bicarbonato di sodio: 4-250 mg/l. Non resta altro da fare che studiare le etichette delle acque minerali in commercio e scegliere la più adatta, oppure sperimentare l’acqua del sindaco, dopo aver fatto evaporare il cloro. Un altro indice analitico dell'acqua è il pH, che deve avere un valore compreso tra 5-6 per uno sviluppo ottimale dell’impasto. L'impiego di acqua alcalina,con un pH maggiore di 7 conferisce all'impasto un pH maggiore di 6, con conseguente rallentamento dell’attività enzimatica, ed ha effetti negativi sulla plasticità del glutine. E’ quindi necessaria un'acqua leggermente acida. Ultima curiosità: chissà quante volte abbiamo abbinato la bontà di una pizza alla bontà dell’acqua, e in particolare l’acqua di Napoli, erogata dall’acquedotto del Serino. Ma oggi non è quello l’unico acquedotto a Napoli, e fino al 1885, anno di attivazione del suddetto acquedotto, l’acqua a Napoli era malsana. Ciononostante la pizza, pietanza plebea, era un alimento sano, per l’alta temperatura di cottura, 450°C, che la sterilizza completamente, ma anche per l’uso di pomodoro e olio extravergine, due pilastri della moderna dieta mediterranea La foto sopra indica un abbassamento del PH rispetto al acqua di rubinetto Inglese utilizzata nel mio test utilizzando sale Rosa del Himalaia da 7..34 a 6.95 un altra opzione è quella di utilizzare 3 gocce di aceto per litro d’acqua oppure 2 cucchiaini di di succo di limone per 2 litri di acqua (Test fatti personalmente )
La digeribilita dei prodotti da fornoSi dice che il pane o la pizza fatti con lievito madre siano più digeribili.
Si dice anche che la maggior digeribilità dipenda dalla maturazione dell’impasto, processo che avviene prima della lievitazione e che consiste in tre processi enzimatici che “spezzettano” amido, proteine e grassi nelle loro componenti di base cosicché il prodotto finito sia già, per così dire, in parte predigerito e noi avremmo una sensazione di “appesantimento” inferiore. Il lievito madre, con la sua ricchezza in batteri lattici contribuirebbe maggiormente a questa predigestione rispetto al lievito di birra perchè per esempio i lattici avrebbero una maggiore attività proteolitica. Si dice infine che la cottura conti molto: l’amido crudo non viene digerito e perciò se durante la fase di cottura qualcosa va storto, alcune parti del prodotto possono risultare poco cotte, il che peggiorerebbe la digeribilità Diciamo che stiamo parlando di TEORIAe fra l’altro dovremmo metterci d’accordo sulla definizione di digeribilità: se intendiamo un allungamento dei tempi di svuotamento gastrico e assimilazione dei nutrienti….beh è un BENE! avremo maggiore sazietà! Se invece intendiamo proprio una MANCATA assimilazione delle componenti del cibo, è diverso, ma questo accade solo se mangiamo amido crudo e quindi prodotti poco cotti, il che non c’entra nulla con il tipo di lievitazione. Quel che mi interessa, è ciò che accade DOPO, quando addentiamo la pizza o il pane e quando questi passano dalla bocca allo stomaco, all’intestino. È quel che avviene in pratica, non in teoria che mi interessa, perché di solito noi non mangiamo solo pane, mangiamo un pasto. Cosa succede alla digeribilità pratica? Qui entrano in gioco fattori che la migliorano o peggiorano: 1. La masticazione. Se mastico bene rendo il cibo più esposto all’aggressione dei succhi gastrici e pancreatici e posso rendere più digeribile anche un pane che in teoria non lo sarebbe e viceversa. 2. La presenza di altri cibi nel pasto, primi fra tutti quelli ricchi di grassi e poi di proteine che allungano i tempi digestivi e superano in classifica qualunque prodotto da forno, anche quello ottenuto nel modo più sbagliato. La mozzarella sulla pizza è quella che maggiormente influisce sulla digeribilità. E se la pizza la mangiamo anche coi wurstel questi tempi si allungano ancora. 3. La quantità di “roba” in generale. Se mangiamo poco digeriamo meglio. Questo è scontato, ma mica poi tanto a quanto pare. 4. I fattori soggettivi non legati agli alimenti ma alla situazione “interna” del nostro organismo, come la maggior o minor produzione di succhi digestivi, variabile nel tempo e in situazioni fisiologiche diverse. In conclusione, secondo me, se uno vuol digerire bene deve: – Mangiare porzioni piccole e ben cotte – Masticare bene – Condire con moderazione e non esagerare con gli alimenti grassi – E perché no, scegliere un pane o prodotto da forno fatto bene. Anche perché è più buono, ma per quel che riguarda la digeribilità questo è l’ultimo fattore da considerare. Perciò a chi va in cerca della pizza fatta con lievito madre perché è più digeribile e poi ci mette sopra mozzarella, mascarpone e speck direi che qualcosa non torna. Fonte :Dott Gabriele Bernardini La pizza non ha un alto indice GlicemicoLa pizza non ha un alto indice glicemico, ma ha un alto carico glicemico.
Dopo una pizza infatti si avrà un elevato picco di glucosio nel sangue ma lo si raggiungerà lentamente. Allo stesso modo la glicemia si abbasserà gradualmente perché l’insulina verrà prodotta piano piano dal pancreas. Le proteine e il grasso della mozzarella e quello dell’olio, l’eventuale fibra delle verdure (quella della salsa di pomodoro è poca roba) e della farina quando si sceglie la versione integrale “smorzano” la velocità di ascesa della glicemia, ma c’è un prezzo da pagare : il maggior quantitativo calorico della preparazione. Se si vuole un indice glicemico basso bisogna aggiungere calorie. L’unico modo per contenerle è aggiungere fibra, contenuta in cibi a bassa densità calorica e cioè frutta e verdura. Perciò : la porzione di carboidrati in un pasto è giusto accompagnarla con un pochino di grassi e proteine e molta fibra. Questo è il modello nutrizionale più corretto: porzione di cibi ricchi di carboidrati commisurata al fabbisogno, accompagnata da una PICCOLA porzione di cibi proteici, POCHI grassi da condimento e tanta verdura con frutta finale. ESEMPIO: riso gamberetti e zucchine. Riso:dipende dal fabbisogno, dai 50g in su. Gamberetti 150, 200g, zucchine 200g, olio 1 cucchiaio. Frutta per finire. Questo è un pasto equilibrato e saziante. Se il riso è integrale meglio. Intolleranza al lievito quale e la veritaL’intolleranza al lievito (parliamo di lievito di birra, Saccaromices cerevisiae)
Le parole sono importanti. Quando genericamente si sente parlare di intolleranza al lievito si fa riferimento a fastidi come il gonfiore addominale e ingenuamente si pensa che, siccome il lievito fa lievitare il pane, avrebbe anche il potere di far aumentare di volume il nostro intestino. Ma il lievito è un microrganismo VIVENTE che possiede quelle proprietà FINCHE’ E’ VIVO. Però, dato che la cottura uccide tutti i lieviti e che comunque quei pochi che rimangono illesi, per loro sfortuna, vengono giustiziati dall’acido cloridrico del nostro stomaco, beh la teoria del potere “gonfiante” viene a cadere irrimediabilmente. Avremo infatti tanti cadaverini di lievito nel nostro colon, ma incapaci di gonfiare alcunché. Dicevamo, le parole sono importanti: le intolleranze sono generate da difetti enzimatici (come nel caso della intolleranza al lattosio o del favismo) o da additivi (ad esempio i solfiti), o da sostanze presenti negli alimenti o prodotte dalla degradazione batterica come l’istamina contenuta nelle fragole, nel cioccolato o nei formaggi (in questo caso si parla di pseudointolleranze). L’intolleranza al lievito però non esiste. Non è nominata in nessun testo di medicina, ma molto, moltissimo in rete. Può esistere una pseudo-intolleranza alla tiramina di cui il lievito è ricco, ma che non produce meteorismo e gonfiore intestinale bensì crisi ipertensive, nausea, vomito e irritabilità. La tiramina è comunque presente in un sacco di altri cibi: formaggi, pesce poco fresco, birra, vino rosso, insaccati, spinaci, pomodori, cavolfiore banane…. Inoltre si può essere allergici al “lievito”. In particolare una rara allergia alla alfa-amilasi (enzima aggiunto al lievito in alcuni casi) che però è di origine inalatoria e produce sintomi respiratori come asma e rinite e colpisce sopratutto i panettieri (https://goo.gl/hywKGQ) Le allergie però, sono un continente diverso ed estremamente lontano rispetto a quello delle intolleranze, nel grande mondo delle “reazioni avverse al cibo”. Le allergie coinvolgono infatti il sistema immunitario, le intolleranze no. Se siamo allergici lo veniamo a sapere facilmente con test immunologici o di cutireazione, fatti IN OSPEDALE, non in farmacia o erboristeria. Questi test hanno valore scientifico. Quelli che diagnosticherebbero la presunta intolleranza no. Per questo le parole sono importanti. Bisogna saperle distinguere sennò si genera solo confusione (https://goo.gl/2y7zvz). Allora, direte, perchè se mi mortifico mangiando pane azzimo sto meglio? Beh, perchè non di solo lievito è fatto il pane! Per esempio è fatto semplicemente di (tanti) carboidrati. I quali potrebbero, se arrivano in grandi quantità (la pizza! Magari seguita da un dolce) e a grande velocità nell’intestino, provocare fenomeni fermentativi altrettanto imponenti, giustificando quindi la produzione di gas e i fastidi che ne seguono. Non sono i lieviti, è uno stile di vita non proprio impeccabile che può provocare questi disturbi. È inoltre possibile avere una contemporanea una disbiosi intestinale che magnifica i sintomi. Ovviamente la disbiosi (alterazione quali-quantitativa del microbiota intestinale) deriva spesso, a sua volta, da una dieta squilibrata. La responsabilità è comunque da ascrivere ad abitudini sbagliate. Quindi, prima a di eliminare spontaneamente (o su consiglio di qualche personaggio con scarse competenze) interi gruppi alimentari, sarà semmai opportuno descrivere i sintomi ad un medico il quale potrebbe suggerire di aggiustare i microrganismi “alterati” del colon, mangiando meglio, bevendo tanto, prendendo probiotici e prebiotici, facendo movimento regolare, dimagrendo. Purtroppo tutto ciò richiede un cambiamento profondo delle nostre azioni quotidiane che non sempre siamo disposti a mettere in atto. Ma spesso è l’unica strada. Fonte : Dott Gabriele Bernardini |
AuthorVinci Coppolas Archives
April 2024
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