L’ultimo tariffario reso noto dagli inquirenti è di inizio 2019. Dai 3.000 ai 5.000 euro tre volte l’anno, in occasione delle feste, più qualche “extra” nelle grandi occasioni. Non c’è chi a Napoli – investigatori compresi – non conosca tempi, modalità e spesso anche gli artefici del racket, esteso praticamente a qualsiasi attività imprenditoriale o commerciale sotto il Vesuvio, dai giganti della ristorazione fino alle bancarelle dei mercati rionali, senza contare comparti “tipici” della malavita organizzata, come le feste di piazza o lancio ed esibizioni di cantanti neomelodici.
Nessuna meraviglia, perciò, se una “bombetta” di camorra possa essere diventata volano di uno straordinario marketing, come è successo alla star delle Margherite filanti, il noto pizzaiolo Gino Sorbillo, in queste ore costretto ad ammettere, dopo lo scoop del Corriere del Mezzogiorno, che la bomba esplosa qualche mese fa dinanzi al suo locale di via Tribunali era in realtà destinata ad un più modesto concorrente. Di Gino Sorbillo, peraltro, la Voce si era già occupata in un articolo uscito nell’immediato, dopo che il boom aveva fatto salire alle stelle le quotazioni del pizzaiolo-chef, il quale contestualmente si accingeva ad inaugurare un nuovo locale in centro nella capitale, dove a tutt’oggi, per quanto se ne sa, occorre prenotare con una settimana d’anticipo tanta è l’affluenza. Bruno Vespa mostra il libro di Angelo Pisani. In apertura Gino Sorbillo A meravigliare è piuttosto il fatto che, pur essendo arcinote a tutti, le scorribande quotidiane degli estorsori continuino a far registrare autentiche escalation. E questo, benché proprio sulla “guerra” delle pizzerie sia uscito da qualche mese un libro-denuncia, “Diritto alla pizza”, scritto da un avvocato noto per il coraggio delle sue battaglie, Angelo Pisani. Un volume cui non è mancata una vasta eco, visto che ha riscosso un caloroso successo di pubblico perfino negli Usa e, in Italia, ha trovato spazio nel salotto buono di Bruno Vespa, a Porta a Porta. Oggi una nuova detonazione: la notizia sulla “falsa” bomba a Gino Sorbillo. Che, guarda caso, è proprio uno dei personaggi del volume di Angelo Pisani, difensore di un altro Sorbillo, Luciano, dagli attacchi giudiziari sferrati proprio da Gino per impedirgli l’utilizzo del cognome di famiglia nella sua pizzeria. Precursore per vocazione, Pisani nel libro «guarda oltre ciò che gli altri vedono – scrive nella prefazione un magistrato acuto come Nicola Graziano – e ci descrive un futuro che potrebbe portare alla decadenza di un valore inestimabile quale quello della pizza napoletana». Un potente grido d’allarme, dunque, questo libro: «nel descrivere le faide interne alle famiglie di pizzaioli napoletani e non – si legge ancora nella lucida prefazione di Graziano – Angelo spiega perché questo conflitto nel nome del Dio denaro potrebbe portare a una volgarizzazione dell’arte della pizza, che non si impasta a suon di carte bollate o di decisioni del Tribunale, ma con la fantasia che ogni pizzaiolo mette». Angelo Pisani «Ho scelto per valori e tradizione di schierarmi dalla parte del più debole – spiega Pisani – di chi mi appare essere nel giusto e nella ragione, difendo infatti in tribunale il semplice e modesto pizzaiolo Luciano Sorbillo e la sua famiglia dagli attacchi giudiziari del mediatico e famoso pizzaiolo Gino Sorbillo». E’ da tempo che il più celebre Gino cerca di inibire l’utilizzo del cognome di famiglia perché, a suo dire, nessuno dei 21 familiari Sorbillo, tutti pizzaioli, lo deve utilizzare e commercializzare, solo lui. «Questo naturalmente lo si vedrà – attacca Pisani – fino ad arrivare alla Corte Europea». Quanto alla bomba carta, «ritengo che per onestà intellettuale – aggiunge il legale – la verità su questa vicenda richiederebbe una spiegazione, nonché le dovute scuse per l’equivoco e i giganteschi danni di immagine alla città connessi alla strumentalizzazione del caso». Di sicuro, “Diritto alla Pizza” resta oggi un libro ancor più attuale, con il suo sguardo su quel che accade e succederà in futuro nel mondo del piatto più richiesto al mondo. «A giudicare dalle cronache – taglia corto Angelo Pisani – avevo visto bene: basta tradimenti, pubblicità ingannevoli, strumentalizzazioni e strani affari, perché nell’universo della pizza c’è bisogno di educazione, valori, regole, legalità e cultura, se si vuole crescere forti e sani, tenendo alla larga la criminalità». Fonte www.lavocedellevoci.it articolo di Furiò lo Forte
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Anno domini 1984: nasce a Napoli l’Associazione Verace Pizza Napoletana (AVPN), senza fini di lucro, allo scopo di promuovere e tutelare, in Italia e nel mondo, la vera pizza napoletana, vale a dire il prodotto tipico realizzato secondo le caratteristiche descritte nel Disciplinare STG al fine di ottenere il marchio collettivo “Vera Pizza Napoletana”, redatto e registrato dall’AVPN. Oggi la Pizza Napoletana STG (Specialità Tradizionale Garantita) cambia disciplinare, ma è la solita assurdità fine a se stessa. In occasione delle Olimpiadi della Vera Pizza Napoletana e del 35esimo anniversario dell’Associazione Verace Pizza Napoletana è stata presentata dal vicepresidente Massimo Di Porziola nuova versione del Disciplinare, con tutte le modifiche introdotte. Un aggiornamento storico, dicono. Forse per loro. Il disciplinare della Pizza Napoletana STG Il Disciplinare Internazionale dell’Associazione Verace Pizza Napoletana è quell’insieme di regole codificate allo scopo di definire le caratteristiche di preparazione e riconoscimento dell’unica vera pizza napoletana ammissibile nel mondo. Tanto per capirsi, la “verace pizza napoletana” (vera pizza napoletana) è prodotta – cito testualmente dal Disciplinare: “Con un movimento dal centro verso l’esterno e con la pressione delle dita di entrambe le mani sul panetto, che viene rivoltato varie volte, il pizzaiolo forma un disco di pasta in modo che al centro lo spessore sia non superiore a 0.25 cm con una tolleranza consentita pari a ± 10 %“. Pizza che deve, altresì, presentare un impasto con queste caratteristiche:
I limiti sono storici e ormai noti: l’altezza del bordo, la dimensione del panetto e del disco di pasta, le grammature degli ingredienti, le materie prime utilizzate per la farcitura e le loro provenienze (esclusivamente campane), fino ad arrivare alle implicazioni più sensibili come l’utilizzo del solo forno a legna, del lievito di birra e la fermentazione esclusivamente a temperatura ambiente per 6-8 ore. Successivamente è stata introdotta una deroga per quanto riguarda l’utilizzo del forno a gas o ad “energie alternative”, purché approvati dall’AVPN e solo a fronte di una documentazione che attesti l’impossibilità di utilizzare il forno a legna. Occhio insomma, l’AVPN vede tutto, peggio di Sauron. Se non mi credete leggete il Disciplinare e comprenderete perché ad attuarlo sono ben pochi pizzaioli, più o meno quante le dita delle mie mani. Piuttosto controproducente per la diffusione della pizza napoletana “autentica” nel mondo, non credete? Il nuovo disciplinareCon la recente modifica, il testo è stato ampliato, con particolari evidenze sulla descrizione delle materie prime per la farcitura e delle attrezzature come forni e impastatrici, ben più articolate ed esaustive. Anche la struttura ha subito una forte variazione, e risulta più lineare, argomentata e ordinata. Sono altri tuttavia i cambiamenti su cui è bene spendere qualche parola. Andando con ordine di impaginazione, il primo forte aggiornamento riguarda l’utilizzo delle farine, con l’inclusione della tipo 0 ma soprattutto di una percentuale di tipo 1 che varia dal 5 al 20% massimo. In secondo luogo, al già citato lievito di birra fresco sono stati introdotti il lievito madre e il lievito di birra secco senza miglioratori addizionati. Last but not least, l’approfondimento sui processi di lievitazione e maturazione dell’impasto, con asserzioni riguardanti la digeribilità migliorata sul prodotto; la lievitazione rimane rigorosamente a temperatura ambiente ma può spaziare dalle 8 alle 24 ore. Importante è anche l’assolutismo specificato nel paragrafo dedicato alla ricetta, che ha lo scopo di fissare un grosso paletto, nel tentativo forse di demonizzare alcuni prodotti in voga al momento. Nelle “regole essenziali da rispettare” infatti si parla di impasto diretto, di partire dall’acqua per la preparazione e dell’assenza di grassi o zuccheri nell’impasto. Bocciata, insomma, la blasonata biga. Io ve l’ho detto che l’AVPN vede tutto. Il nonsense punto per puntoPartiamo da un rapido presupposto: l’AVPN si è sempre preposta una battaglia di per sè giusta (la certificazione dell’autenticità della vera pizza napoletana nel mondo) utilizzando però dei metodi completamente sbagliati. A cominciare dalla nomina in STG (Specialità Tradizionale Garantita, di fatto legata a determinate specifiche di produzione) e dall’esclusività degli ingredienti campani. Ora voi ditemi come dovrebbe fare un giapponese o un thailandese a utilizzare una mozzarella FRESCA esclusivamente campana se ad arrivare impiega una settimana. Se la tutela è globale, ai fini di evitare prodotti copiati, plagi e quant’altro, la prerogativa non dovrebbe essere quella di assicurare la fattibilità della pizza stessa in ogni parte del mondo? Sugli errori e sulle bufale tecniche ormai dovreste essere preparati, VERO? Abbiamo ampiamente discusso sulle verie discriminanti per la digeribilità di un panificato, attribuibili più alla corretta cottura che alla maturazione dell’impasto. Così come abbiamo detto che l’utilizzo del lievito di birra e del lievito madre non è confrontabile e traducibile solo sulla base del quantitativo in grammi; il processo stesso infatti, è e deve essere completamente diverso. Ancora, la deroga su forni “alternativi” in presenza di una documentazione che attesti l’impossibilità di installare il forno a legna è provocatoria, testarda e distruttiva, frutto di quel romatico retaggio già discusso che non solo non porterà mai da nessuna parte, ma che rischia di togliere dallo spettro visivo di molti neo-professionisti gli enormi pregi che macchine elettriche e a gas possono avere. No, non mi stancherò mai di ripetervi questi concetti, e anzi, ne approfitto per introdurne uno fresco fresco: impastare partendo dall’acqua è un errore tecnico ENORME. Anzitutto, è la farina che assorbe l’acqua e non il contrario, e il glutine stesso si forma mano a mano che la vostra polvere bianca comincia a idratarsi e a trasformarsi, in maniera decisamente più rapida ed efficace. Partire da una pastella bagnata vi allungherà solo i tempi, rendendovi per altro impossibile il lavoro in caso di idratazioni elevate. E oltre al danno, la beffa: in un mondo (quello della panificazione) dove qualsiasi preparazione viene standardizzata tenendo come riferimento la farina, la pizza napoletana continua a rimanere l’unica ancorata a un insulso retaggio storico; in questo modo il confronto con altri prodotti è complicato, e non vi consente di avere quella visione di insieme necessaria per crescere professionalmente. Oggi conoscere più processi è fondamentale per una formazione più completa, mettetevelo bene in testa. Un aggiornamento storico, un clamoroso ritardoA prescindere da errori e imprecisioni, stiamo parlando di un cambiamento arrivato a valle di una trasformazione già da tempo in atto nel mondo della pizza napoletana. Sono anni che si parla di maturazione, di fermentazione, dell’importanza dei processi, dello studio degli ingredienti, dell’utilizzo o meno della pasta madre, della preferenza per lievito fresco o secco, delle varie tipologie di forno e dei prefermenti. Sono anni che la VERA pizza napoletana ha preso il largo, distanziandosi da questi concetti astrusi e ridicoli. Sono anni che l’AVPN viene presa come esempio di testardaggine e patriottismo assurdo italiano; in una delle puntate di Ugly Delicious, lo show di Netflix di David Chang, si parla proprio del “razzismo” gastronomico degli italiani nei confronti del resto delle preparazioni, di cosa è “pizza” e cosa no, e dell’impossibilità per chiunque abbia un’attività nel resto del mondo di fare uso di ingredienti napoletani in quanto non arriverebbero freschi. Le parole stesse di Antonio Pace, riprese nella puntata, rimarcano un concetto assurdo e che purtroppo passa per totalitario, immagine di un paese dalla mentalità chiusa e ristretta: l’unica vera pizza è quella napoletana, l’unica vera napoletana è quella di napoli, il resto non esiste. Come già affermato, un intento inizialmente nobile come quello del disciplinare AVPN ha come unico effetto quello di risultare ridicolo e inapplicabile, o non si spiegherebbero le sole 793 pizzerie iscritte su circa 28.000 in tutta Italia (dato di Febbraio 2018). E non sono rari i casi di celebri professionisti usciti dall’AVPN, anche tra i napoletani. Il vice-presidente Massimo Di Porzio, durante le olimpiadi, ha parlato di un processo non facile, che dovendo trattare un’antica tradizione ha richiesto un lavoro lungo, durato 4 anni con test e ricerche. Un magro tentativo di giustificare l’imperdonabile e assurdo ritardo di tali aggiornamenti. Tantissimo lavoro per cosa, per scrivere una pagina in più? Non c’è stato nemmeno il “coraggio” di ammettere l’utilizzo delle celle a temperatura controllata per le fasi di lievitazione, una pratica comune DA DECENNI. Se nel vostro laboratorio ci sono 35 gradi che fate, accendete un cero in chiesa? Ma soprattutto, l’imposizione sul metodo diretto pare l’ennesima, disperata iniziativa di denunciare l’utilizzo dei prefermenti, una pratica ormai parecchio in voga tra i professionisti. Davvero siete convinti che basta una riga su un pezzo di carta per fermarne l’evoluzione? Davvero siete convinti che tale dichiarazione avrà qualche effetto sull’economia del mondo pizza? A parer mio, l’aggiornamento del Disciplinare Internazionale STG ha un solo, evidente risvolto: la disperata mossa di un’associazione che si è uccisa con le sue stesse mani, un tentativo inutile di mettere becco su un mondo già troppo avanzato per la una mente chiusa e del tutto anacronistica. Del resto stiamo parlando di gente che nel 2019 è ancora convinta che la pizza sia più buona a Napoli perché l’acqua è diversa. Fonte dissapore.com |
AuthorVinci Coppolas Archives
April 2024
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