Tutti a tavola! Per mangiare che cosa? La pubblicità delle tv ci racconta che tutta la pasta industriale è prodotta con il grano duro italiano. Ma noi scopriamo che le due Regioni che producono l’80% circa del grano duro italiano – Puglia e Sicilia – hanno il prodotto invenduto. Passata e pelati di pomodoro? In maggioranza cinesi o nord africani. Da condire con l’olio d’oliva tunisino spacciato per italiano al costo di 3-4 euro a bottiglia. E… buon appetito!
Non stiamo dicendo nulla di nuovo: proviamo soltanto a mettere insieme una serie di articoli che abbiamo scritto ad agosto e nei primi dieci giorni di settembre. Ne viene fuori un bel ‘quadretto’: la vera Sicilia a tavola e, perché no?, la stessa Italia a tavola, che, in verità, è un po’ diversa da quella che ci racconta ogni giorno la tv con la pubblicità. Sono fatti. Ieri abbiamo pubblicato un articolo che riprende un video di Teledauna. E’ la Web Tv della ‘Capitanata’, l’area del grano duro per antonomasia della Puglia. Sì, della Puglia, la prima Regione italiana per la produzione di grano duro (QUI IL NOSTRO ARTICOLO). Tre le notizie. La prima è che il porto di Bari è letteralmente invaso da grano duro estero, compreso quello canadese ‘ricco’ di glifosato e micotossine. La seconda notizia è che gli agricoltori pugliesi si rifiutano di vendere il proprio grano duro a 22 euro al quintale. La terza notizia è che, se il Governo nazionale non interverrà, gli agricoltori pugliesi, non semineranno più il grano duro. Se guardiamo lo scenario in Sicilia – seconda Regione italiana per la produzione di grano duro – prendiamo atto che, anche quest’anno, molti agricoltori non hanno venduto il proprio grano. Sapete perché scriviamo “anche”? Perché nella nostra Isola tanti agricoltori hanno stoccato anche il grano duro prodotto lo scorso anno. La motivazione è sempre la stessa: si rifiutano di vendere il proprio grano ad un prezzo che è addirittura di qualche euro inferiore al grano duro pugliese: 18-20 euro al quintale. Se, però, seguiamo la ‘narrazione’ delle pubblicità sulla pasta industriale italiana scopriamo che è tutta “pasta prodotta con grano duro italiano”. Da qui una domanda: ma se gli agricoltori della Puglia e della Sicilia il grano duro non lo stanno vendendo, da dove cabbasisi lo prendono il grano duro italiano per fare la pasta le industrie? Ancora: se tutta la pasta industriale italiana è fatta con “grano duro italiano” che fine fa il grano duro estero che, come racconta Teledauna, arriva ogni giorno con le navi nel porto di Bari? Per altro, detto per inciso, in Puglia non c’è solo il porto di Bari: ci sono altre tre o quattro porti dove le navi cariche di grano arrivano con tanto di segnalazione. Anche in Sicilia arrivano le navi cariche di grano duro da mezzo mondo. Ma, a differenza della Puglia, nella nostra Isola resiste una ruspante mentalità mafiosa e la pubblica amministrazione si guarda bene di far sapere ai cittadini la verità sul grano estero. Qualche notizia la riusciamo ad acciuffare qua e là, soprattutto sul porto di Pozzallo, lo scalo meno ‘malandrino’. Di quanto avviene nei porti di Palermo, Catania e Mazara del Vallo, in materia di grano & navi, non si sa una mazza. Come li cuciniamo gli spaghetti? Colpomodoro, ovviamente. Pomodoro italiano? No, meglio la passata di pomodoro cinese, magari opportunamente ‘italianizzata’, come hanno documentato in un servizio Le Iene (QUI UN NOSTRO ARTICOLO CHE RIPRENDE IL SERVIZIO DE LE IENE). Come per la pasta, anche per i pomodori pelati e per la passata di pomodoro ci raccontano che è tutto italiano. Solo che noi, in Sicilia, tutto ‘sto pomodoro di pieno campo non lo riusciamo più a vedere. Quello che sappiamo, del nostro pomodoro, è che, rispetto al pomodoro cinese o nord africano, è fuori mercato. In Cina e in Africa i costi di produzione – in testa il costo del lavoro – sono molto più bassi. Da noi un operaio agricolo per la raccolta del pomodoro costa 80-100 euro al giorno. In Cina e in nord Africa, da 3 a 5 euro al giorno. Non c’è partita, non ci può essere partita. In più, quei produttori agricoli che assumono operai extracomunitari in nero a 30 euro al giorno (solo loro accettano di lavorare otto ore al giorno per 30 euro, gli italiani si rifiutano) sono additati come pessimi esempi: caporalato e altre accuse, più multe ‘salatissime’. Nel Sud – soprattutto in Sicilia – il pomodoro di pieno campo va diminuendo. Rischiare contravvenzioni e denunce per caporalato è diventato rischioso. Risultato? Indovinate… Sì, avete indovinato: non restano che i pelati di pomodoro in scatola e la passata di pomodoro nelle confezioni di vetro. Prodotti rigorosamente italiani… Dell’olio d’oliva extra vergine i nostri lettori sono già informati. Ne approfittiamo per tornare a ribadire che una bottiglia di extra vergine dal costo di 3-4-5-6 euro non va acquistata. Lasciatele, queste bottiglie di “extra vergine”, sugli scaffali dei supermercati. Ricordatevi che quest’anno un litro di vero olio extra vergine di oliva del Sud Italia – zona d’elezione per la produzione – costerà, in media, 10 euro al litro. Qualcosa in più in Puglia, qualcosa in meno in Calabria e in Sicilia. L’olio d’oliva extra vergine acquistatelo presso le aziende e, con molta attenzione, presso i frantoi. Perché dovete prestare attenzione ai frantoi? Perché la Sicilia è letteralmente invasa da olio d’oliva tunisino. E c’è il dubbio che, all’atto della molitura delle olive, all’olio fresco venga miscelato l’olio d’oliva tunisino. Ricordatevi che in Sicilia i ‘magheggi’ all’olio d’oliva sono all’ordine del giorno. Emblematico quello che è avvenuto nei giorni scorsi tra il porto di Palermo e Sciacca, provincia di Agrigento. Vi abbiamo raccontato che 800 tonnellate – 800 tonnellate! – di olio d’oliva tunisino sono state sdoganate nel porto di Palermo. Per essere spedite a Sciacca (QUI IL NOSTRO ARTICOLO). Si tratta di un quantitativo impressionante. Ci sono stati controlli? Non lo sappiamo. Ma sappiamo due cose. La prima cosa è che la presenza di questo carico l’abbiamo scoperta per caso. Ciò significa che di olio d’oliva tunisino, in Sicilia, ne sarà arrivato chissà quanto. La seconda cosa è che le autorità dovrebbero vigilare affinché questo olio d’oliva tunisino – almeno le 800 tonnellate – venga venduto con la dizione “Olio d’oliva tunisino extra vergine, biologico” eccetera. Sarà così? Aspettiamo. Ultima notazione: l’assenza del Governo nazionale e dei Governi della Regione siciliana e della Regione Puglia. Dal Ministro delle Politiche agricole, il leghista Gian Marco Centinaio, non ci aspettiamo: fino ad oggi non ha fatto nulla per il Sud e non crediamo che farà qualcosa. Del presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, sappiamo che ama il pesce: è per questo che si disinteressa dell’agricoltura? Il presidente della Regione, Nello Musumeci, in campagna elettorale e poi anche dopo il suo insediamento, si è impegnato ad controllare tutti i prodotti agroalimentari che arrivano in Sicilia dall’estero. Ancora lo stiamo aspettando… Fonte inuovivespri.it
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AuthorVinci Coppolas Archives
April 2024
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